
A pochi giorni dall’intitolazione a Chiara Lubich di una piazza nel cuore di Vedano (sotto la gallery con le foto), un collage di messaggi, ricordi e pensieri per la fondatrice del Movimento dei Focolari e ambasciatrice della Fraternità.
“L’incontro con il Presidente della Città per la Fraternità Stefano Cardinali è stato emozionante sia per me che per i cittadini di Vedano Olona e non solo accorsi nella sala consiliare. All’interno della cornice solenne del Consiglio comunale in adunanza aperta abbiamo tutti preso consapevolezza, grazie anche agli insegnamenti di Chiara e al suo discorso al Campidoglio del 22 gennaio 2000, delle tante azioni che abbiamo svolto e svolgiamo sotto l’egida della Fraternità. Sarà quindi per noi tutti uno sprone a continuare su questa strada e fare sempre di più per gli altri, chiunque essi siano” (Cristiano Citterio, sindaco di Vedano Olona)
“Grazie Chiara! Aiutati da te abbiamo potuto vivere meglio il cammino della nostra vita di famiglia insieme a tanti” (Gisella Baroffio, Vedano Olona)
“Ho avuto il dono di incontrare diverse volte Chiara Lubich in congressi formativi o in eventi socioculturali e non potrò mai dimenticare il suo sguardo penetrante, attento, tutto dedicato a me, come se fossi l’unica persona davanti a lei in quel momento.
Un amore senza misura, a 360 gradi, riversato allo stesso modo su chiunque la sfiorava.
Il suo spirito materno, la sua concretezza, espressa anche con brevi lettere, mi sono state di aiuto e consolazione nei momenti chiave che ho vissuto” (Concettina Candeloro, Varese)
“Chiara e il suo carisma sono stati sempre presenti nella nostra vita, fin dalla giovinezza. Presentissima, tramite suoi stretti collaboratori, al nostro matrimonio. Presentissima, nei convegni e anche attraverso letterine, con i nostri tre figli che hanno sempre condiviso il suo messaggio di fratellanza universale. La figlia maggiore poi l’ha seguita con gioia nella vocazione totalitaria del focolare. E partecipammo tutti, come famiglia, al suo funerale, accanto a migliaia di altre persone venute da ogni dove, in un clima di immensa gratitudine” (Maria Adele Soltoggio e Giorgio Vigolo, Varese)
“Se la ricchezza non fa la felicità, figuriamoci la povertà”. Con questa battuta fulminante, Woody Allen, descrive, a sua insaputa, uno dei paradossi più famosi tra quelli scoperti dagli economisti negli ultimi decenni. Parafrasando quella battuta possiamo affermare: “Se la fraternità (a volte) non c’è tra fratelli, figuriamoci in una comunità”. E quello della fraternità nella comunità è un concetto che dalla sua formulazione prettamente politica, alla fine del XVIII secolo (“Liberté, Egalité, Fraternité”), è andato sempre più allontanandosi dagli scopi sociali che intrinsecamente conteneva nella sua iniziale aspirazione. È un paradosso che spesso viviamo in prima persona, in senso negativo (“perché non vivo in una comunità partecipe, accogliente, fraterna”) e ancora di più quando c’è un risvolto positivo (“però, quanta brava gente che mi sta attorno; non me l’aspettavo, sembrano quasi dei fratelli”). La fraternità come agire sociale, che pertanto acquista anche valore politico, sembra quasi una novità se non addirittura un’utopia. Sarà forse questa la motivazione per cui di fraternità si parla poco, se non al massimo per citarla e cantarla in qualche inno nazionale? In quel momento ci sentiamo fratelli d’Italia ma siamo poi subito pronti a dissolvere questo concetto negli ismi quotidiani (i nazionalismi, i razzismi, gli campanilismi, gli individualismi in generale). Una società fraterna trasforma i rapporti tra gli individui, col paradosso (almeno linguistico) che li rende meno individui, e col risultato che restituisce loro null’altro che la gioia. Una comunità gioiosa è la prova indiscutibile di una fraternità accolta e vissuta. La mancanza di fraternità dà di un quartiere, di un paese, di una città un’immagine triste. Specialmente per le città vi sono molte raffigurazioni che ne rappresentano la tristezza. Ricordo gli slums di Londra attraverso le immagini di Gustave Doré, il Vagone di terza classe dipinto da Honoré Daumier, la tensione amara dei luoghi dell’evasione di Toulouse Lautrec. Anche per il futurista Umberto Boccioni La città che sale lo fa attraverso sforzi titanici e in Forze di una strada, le presenze umane sono sopraffatte da una città, quasi organismo vivo, estraneo alle stesse persone. Non manca un’abbondante letteratura che descrive questa tristezza, mentre c’è poco da leggere su come la città abbia saputo reagire, nella storia, al dolore, alla tristezza, all’indifferenza, cercando di essere fraterna e pertanto gioiosa, talvolta riuscendovi. La fisionomia di una città, nella sua storia e nelle previsioni del suo futuro, non può prescindere da questo aspetto, persino nella sua struttura urbanistica. Oggi si avverte l’urgenza di ripercorrere il cammino che ha portato le nostre città, grandi o piccole, a ciò che vediamo oggi per ritrovarvi aspetti che le trasformazioni politiche e sociali del secolo XIX o lo sviluppo impetuoso del secolo scorso avevano trascurato. Il futuro delle nostre città, non soltanto nelle loro dimensioni che ultimamente non si prevedono più in crescita generale e indiscriminata, richiede una ridefinizione dei luoghi in considerazione della convivenza dei cittadini, degli spazi di aggregazione, dello “star bene” (che non è benessere) e, infine, della gioia che vi si respira. Altro aspetto, non meno importante, è la presa di coscienza, con le relazioni oggi divenute estesissime e – coi mezzi moderni – immediate, della reciproca interdipendenza tra città e città che invita a formulare proposte per diventare comunità delle comunità e fraternità delle fraternità. È quanto l’”Associazione Città per la Fraternità” sta ampiamente dimostrando: l’utopia resta tale solo se l’immobilismo delle coscienze impedisce di interrogarsi e coinvolgere, di fraternizzare e di gioire. Una coscienza attiva e propositiva finisce per coinvolgere anche l’ambito politico e amministrativo, come ne è esempio l’esperienza di Vedano Olona. Raramente la parola “fraternità” si accompagna al vocabolo “città” ma l’elenco delle città aderenti e premiate dall’Associazione rivela i casi in cui il connubio si verifica e che le Città per la fraternità esistono. Si spera, vivamente, che l’elenco fatto sia carente, incompleto e non venga mai completato” (Silvestro Candeloro)
“Ho incontrato Chiara Lubich nel ’68. A noi giovani che parlavamo di rivoluzione propose l’estremismo del Vangelo. Le sono grato per aver portato una piccola rivoluzione anche nella mia vita” (Enrico Rezzonico, Ronago, Como)
“Sono Nelson Benitez e sono paraguaiano. In piena crisi adolescenziale ho conosciuto il Movimento dei focolari, fondato da Chiara Lubich. Tante volte nella vita ho detto che la mia vera “vita” è incominciata in quel momento. Avevo 17 anni. Non ero un ragazzo “cattivo”… e non mi mancava nulla, direi anche materialmente. Ma sicuramente la difficolta più grande, come per migliaia di giovani oggi, è che non avevo chiaro cosa ero, cosa volevo fare ed essere nella vita. Oggi ho 62 anni, ho vissuto gran parte della vita su questa terra. Sono sicurissimo che quello che Chiara ha vissuto con le sue compagne nelle valli del Trentino, sia arrivato a me a 12milla km. E mi ha confermato la fede in Dio, nella Chiesa, mi ha portato a voler essere un buon cittadino, ad essere un uomo capace di amare, di amarsi, amare tutti. Grazie mille alla nazione italiana che ci dato una sua figlia, della quale, in migliaia e migliaia, ci sentiamo a nostra volta suoi figli. Aguije Vedano Olona. Grazie, nella mia lingua originaria dei guaranies. La mia lingua madre. Abbraccione!” (Nelson Benitez, Paraguay)
“Una giornata trascorsa con spirito di fratellanza e un senso di pace interiore, perché dove c’è vera fratellanza, c’è amore. Chiara ci ha indicato il cammino del vero amore. Grazie” (Franco e Rosanna, Ternate)
“Chiara é una persona carismatica che riesce a conquistare i cuori con amore particolarissimo come amica, sorella e/o madre nella stessa persona. Mi faceva impressione vedere i suoi rapporti con i monaci buddusti. Alcuni la chiamavano “mamma Chiara”. Era una madre spirituale che mostra la possibilità al mondo che se ci amiamo con amore disinteressato ma nello stesso tempo con un amore puro, possiamo arrivare al cuore di qualsiasi persona su questa pianeta” (Bancha Srisujikan, Thailandia, Centro di formazione del Movimento di focolari in Svizzera)